Narrativa contemporanea · Recensioni 2017

Il pastore d’Islanda

Nuova recensione!!!
Ebbene si, oggi torno con un’altra recensione di un libro di cui non sento parlare spesso, motivo in più per fare questa recensione, proprio per farvelo scoprire, perché si tratta di un romanzo di tutto rispetto e di assoluta bellezza.
Sto parlando di “Il pastore d’Islanda” di Gunnarsson, autore appunto islandese, nominato diverse al premio Nobel e molto famoso in Nord Europa; fortunatamente la casa editrice Iperborea lo ha portato in Italia e ci ha permesso di apprezzare la letteratura nordica. Infatti questo è il primo libro che leggo sia di questa casa editrice sia di autori nordici, e posso dire di essere rimasta affascinata dallo stile di scrittore di questo autore.

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TITOLO: Il pastore d’Islanda 
AUTORE: Gunnar Gunnarsson
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 135
PREZZO: 15,00€

TRAMA: Il Natale può essere festeggiato in tanti modi, ma Benedikt ne ha uno tutto suo: ogni anno la prima domenica d’Avvento si mette in cammino per portare in salvo le pecore smarrite tra i monti, sfuggite ai raduni autunnali delle greggi. Nessuno osa sfidare il buio e il gelo dell’inverno islandese per accompagnarlo nella rischiosa missione, o meglio nessun uomo, perché Benedikt può sempre contare sull’aiuto dei suoi due amici più fedeli: il cane Leó e il montone Roccia. Comincia così il viaggio dell’inseparabile terzetto, la «santa trinità», come li chiamano in paese, attraverso l’immenso deserto bianco, contro la furia della tormenta che morde le membra e inghiotte i contorni del mondo, cancellando ogni certezza e ogni confine tra la terra e il cielo. È qui che Benedikt si sente al suo posto, tra i monti dove col tempo ha sepolto i suoi sogni insieme alla paura della morte e della vita, nella solitudine che è in realtà «la condizione stessa dell’esistenza», con il compito cui non può sottrarsi e che porta avanti fiducioso, costi quel costi, in un continuo confronto con gli elementi e con se stesso, per riconquistare un senso alla dimensione umana. Nella sua semplicità evocativa, Il pastore d’Islanda è il racconto di un’avventura che diventa parabola universale, un gioiello poetico che si interroga sui valori essenziali dell’uomo, un inno alla comunione tra tutti gli esseri viventi. Esce per la prima volta in Italia un classico della letteratura nordica che ha fatto il giro del mondo e sembra aver ispirato Hemingway per “Il vecchio e il mare”, considerato in Islanda il vero canto di Natale.

Prima di iniziare, doverosa e solita premessa, e questa volta voglio elogiare la bellezza di queste edizioni Iperborea: la forma del libro è rettangolare, alta e stretta, e il materiale con cui è fatto ricorda la consistenza di una sorta di tessuto. Insomma, per gli amanti del libro come “oggetto di culto” ( passatemi il termine, si fa per ridere ) queste edizioni sono il paradiso!

Nel leggere la trama avevo già intuito si trattasse di un racconto molto intimo, questo viaggio spirituale che il nostro protagonista compie in mezzo ai monti, e questa è sicuramente la cosa che mi ha fatto scegliere di comprare questo romanzo e di leggerlo immediatamente. Non so rimasta delusa, anzi, mi sono letteralmente divorata questo libro in poche ore, e per di più leggerlo mi ha fatto venire la voglia di rileggere al più presto “Il vecchio e il mare” di Hemingway, dati essere libri dai caratteri molto simili.
Come potrete leggere dalla trama, il nostro protagonista è un uomo di nome Benedikt che ogni anno, nel periodo precedente alla vigilia di Natale e per tutta la durata di questa festa, si reca sulle montagne innevate per richiamare tutte le pecore che si sono perse durante l’anno; già questa cosa, senza considerare per un attimo la parte spirituale e intimistica di questo viaggio compiuto dal pastore, è una cosa molto tenera che mi ha fatto commuovere. Questo amore e questa preoccupazione per gli animali, per di più per animali considerati da allevamento, mi ha riempito il cuore.
Come se non bastasse, a fortificare questo concetto di attaccamento verso la vita da pastore e verso il suo gregge, Benedikt si farà accompagnare da niente di meno di due animali, i due più fedeli compagni: un montone e un cane. Con questi due animali il protagonista ha un rapporto stupendo, quasi non fosse un padrone per loro ma piuttosto un amico.

“Chi la capiva certa gente, capace di mettere in gioco tutto, anche la vita, per qualche pecora che non era nemmeno sua?”

Contro il parere di tutti gli abitanti del villaggio, Benedikt e i suoi compagni partono per la solita spedizione, non consapevoli che una brutta tempesta si sta per abbattere sulle montagne, tempesta che metterà a dura prova i tre amici e soprattutto la riuscita dell’impresa.
Senza andare nei minimi dettagli della trama, vorrei soffermarmi più che altro sulla parte spirituale di questo viaggio, che è anche la parte fondamentale dell’intero romanzo.
Benedikt si mostra come un uomo semplice, senza grandi pretese dalla vita, dedito al suo lavoro e ai suoi animali; si descrive come un uomo di poco conto, senza aspirazioni, ormai giunto al termine della sua esistenza nonostante la sua mezza età. Ma nonostante ciò, si dimostrerà essere un uomo estremamente sensibile, intelligente, buono.

“Non aveva una grande opinione di sé, Benedikt, mentre proseguiva il suo cammino. Come avrebbe potuto? A guardarlo, ora che il giorno declinava, sembrava appena un’ombra incerta nel paesaggio […] C’era sempre qualcosa di incompiuto e insignificante in lui, da qualunque lato si guardasse. Né buono né cattivo, mezzo uomo e mezzo animale”

Una volta finito il romanzo ci si chiede se il viaggio da Benedikt intrapreso avesse veramente lo scopo di salvare le pecore dal gelo invernale oppure avesse come scopo quello di salvare se stesso.
Infatti il pastore, durante il suo cammino verso la baita che ogni anno lo ospita, riflette sulla sua vita passata e presente, e si pone delle domande esistenziali al cospetto delle montagne innevate come se queste potessero rispondergli. In questo contesto si crea una sorta di rapporto intimo tra il pastore e la natura, come se Benedikt riuscisse a ragionare sulla sua stessa esistenza solo insieme alla natura, solo se avvolto da essa.
E’ una cosa che non riesco a spiegare a parole, ma leggendo questo libro ho provato una sensazione di avvolgimento, un calore interiore, come se fossi parte di quel rapporto intimo tra Benedikt e le montagne innevate.
Benedikt ci informa e ci descrive la sua vita molto piatta, monotona, con pochi rapporti umani; è nato come contadino e come pastore e morirà come contadino e pastore, questa è la sua rassegnazione. Ma nonostante la triste presa di coscienza della sua vita, Benedikt custodisce dei sogni, ha delle aspirazioni, e soprattutto sogna la libertà.
Benedikt si definirà “padrone di se stesso solo per un breve periodo”, in quanto per tutto il resto del tempo lavora per qualcuno nella fattoria dove vive o si occupa del gregge in cambio di vitto e alloggio.
I suoi sogni di libertà, di vivere serenamente, sono commoventi, perché da una parte c’è la rassegnazione di non poter cambiare il corso delle cose e dall’altra c’è la malinconia di non poter essere felice. E ancora più commovente è sapere che l’unico momento di libertà, l’unico attimo di felicità, è quello che Benedikt ottiene durante il suo solito viaggio annuale, durante il quale può godersi la natura e stare sereno.

“C’erano stati giorni e notti in cui sognava e nutriva speranze di felicità e di una vita tranquilla. Ora non più, ed è meglio così”

Cosa ancora più triste e allo stesso tempo interessante è il fatto che Benedikt usa questo viaggio spirituale come una sorta di scrigno nel quale nascondere e conservare tutti i suoi sogni. Questo che ci viene riportato nel romanzo è il ventisettesimo viaggio che il pastore fa per andare a ricercare le pecore, e in tutti i ventisei viaggi ha raccontato e ha portato un pezzo del suo cuore, dei suoi sogni, sopra quelle montagne, per poi abbandonarli con rassegnazione. I suoi sogni comprendevano una vita diversa, una libertà che in realtà Benedikt non può permettersi perché sopravvivere diventa più importante dell’essere felici.
Benedikt, in questo contesto, si chiederà se il suo viaggio non ha proprio come scopo quello di “andar a trovare i suoi sogni”, ovvero di passare delle giornate sereno, sognando e sperando in una futura felicità, pur rimanendo con la consapevolezza di vivere giorni di “vacanza”, giorni irreali, che la vita quotidiana lo attende al ritorno del suo viaggio.
Perciò il viaggio verso il ritrovamento delle pecore diventa essenziale per la vita di Benedikt, perché rappresenta l’unico spiraglio di serenità nella sua vita, l’unico momento durante l’anno per essere veramente se stesso e per godersi tutti i suoi sogni insieme alla natura, quasi fingendo che quei sogni si siano veramente realizzati.

“Eh sì, il tempo passa. Ventisette anni… In fondo ai quali erano sepolti i suoi sogni. Quei sogni. Quelli che solo lui e Dio conoscevano. E le montagne, a cui li aveva urlati nella sua disperazione. Ma già al primo anno li aveva lasciati lassù. Ben nascosti […] Era a causa loro che doveva tornare lì ogni inverno? Per vedere se ancora non strano dissolti e la terra non li aveva inghiottiti?”

Ultima cosa di cui vorrei parlarvi è il rapporto che Benedikt crea con i due animali, un montone e un cane, che considera veri e propri amici, e soprattutto considera essenziali per la propria serenità. Probabilmente il viaggio non sarebbe stato lo stesso senza di loro, perché entrambi sono parte integrante del suo progetto di serenità.
Il fatto che questo pastore riesca perfettamente a creare un rapporto intimo con gli animali e non con le altre persone denota proprio la sua voglia di estraniarsi dalla società e dal proprio villaggio e vivere in mezzo alla natura, in tranquillità.
Il rapporto tra Benedikt e i due animali è qualcosa di molto dolce, e mi ha profondamente commosso vedere come gli animali intervengono in soccorso di Benedikt quando si trova in difficoltà.
Anche gli animali ovviamente sono intesi come parte integrante della natura, e quindi il rapporto che il pastore instaura con essi è lo specchio dell’amore che prova per la natura stessa. Spero di essermi spiegata bene, perché è un libro molto complesso da recensire.

In generale tutto il romanzo è incentrato sul rapporto tra uomo e natura, e ancora di più tra l’uomo e la sua esistenza. Benedikt si interroga sul senso della sua vita, e il viaggio in cui si trova immerso nella natura, in silenzio e in pace con se stesso, rappresenta lo sfondo perfetto per questo momento intimo e quasi catartico. Benedikt si chiederà se l’uomo è destinato alla solitudine, se è la stessa solitudine il presupposto fondante dell’esistenza umana.
Benedikt fondamentalmente si interroga sul senso ultimo dell’uomo, ricerca una spiegazione riguardo l’esistenza dell’essere umano in natura, e la cosa interessante è che il tutto lo fa circondato dalla natura stessa, che partecipa a queste sue riflessioni.
La forza e la profondità di questo romanzo non può essere espressa a parole, va letto assolutamente.

“L’uomo si aggrappa alle sue cose, si aggrappa a se stesso e alle sue cose al di là della morte, teme che la vita gli sfugga tra le mani – è questa la più reale di tutte le realtà, la più fragile di tutte le fragilità, la più infinita tra le cose infinite. Teme la solitudine, che è la condizione stessa della sua esistenza. Teme di non essere più circondato dal prossimo e forse d’esser dimenticato da Dio. Una piccola consolazione è che, se tutto va bene, sarà sepolto qui e rimarrà ancorato alla terra per sempre”

Ho apprezzato molto questo libro per la sua estrema semplicità e contemporaneamente per la sua carica emozionale. Il racconto di Benedikt, il suo viaggio, le domande che pone a se stesso, mi hanno spinto a riflessioni profonde, che a possono risultarci spaventose. Come il pastore, anche io mi sono chiesta quale potesse essere il senso e il fine ultimo dell’uomo, e il fatto che un libro ci spinge a ragionare vuol dire che l’autore è stato abbastanza incisivo da arrivare al nostro cuore e alla nostra mente.
Con una trama molto semplice, Gunnarsson è riuscito a commuovere e far ragionare il lettore, quindi posso solo che consigliarvi vivamente questo romanzo. Leggerò senz’altro qualcos’altro di questo autore, ma custodirò sempre un bellissimo ricordo di questo libro perché mi ha veramente emozionato.
E infondo, ora che è proprio periodo natalizio, non esiste un libro più azzeccato di questo… Una coperta, cioccolata calda, il gelo fuori, e il “Pastore d’Islanda”.

VOTO: 8,5/10

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